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In tutte le famiglie, soprattutto se numerose, tensioni e litigi sono pressoché all’ordine del giorno. Da parte dei bambini piccoli, in particolare, ci può essere la messa in atto di meccanismi di micro-aggressione nei confronti sia dei genitori che dei fratelli.
In un mondo perfetto i genitori, dal canto loro, dovrebbero comportarsi allo stesso modo con tutti i figli, ma è più facile a dirsi che a farsi.
In effetti, quel che invece succede molto comunemente, nei rapporti genitori-figli, è che gli adulti mettono in campo, sia pure inconsapevolmente, dei meccanismi di proiezione.
La proiezione, definita in due parole, è una forma di difesa della mente. Si produce quando attribuiamo a un’altra persona (nella fattispecie i nostri figli) atteggiamenti e pensieri che riteniamo intollerabili e che non possiamo concepire di provare, perché ci procurerebbero uno stress eccessivo.
Proiettare sull’altro ci dà modo di dirottare l’attenzione e di prendere le distanze da quello che ci angoscia, il che ovviamente non significa che quello che ci angoscia con ciò vada a sparire. L’unico risultato della proiezione, infatti, è che l’intollerabile lo nascondiamo sotto il tappeto, per così dire.
Secondo la psicologa catalana Marta Segrelles, c’è proprio questo meccanismo alla base delle tensioni che spesso si creano tra genitori e figli.
Il punto è che i figli tendono a imitare i comportamenti degli adulti che hanno intorno, ovvero in primis i genitori. Il che induce questi ultimi a prendersela molto di più con quelli tra i figli che gli assomigliano di più, soprattutto nei difetti.
In altri termini, sotto sotto i genitori sanno di avere questo o quel difetto, ma non riescono ad ammetterlo, sicché “spostano l’attenzione” sul figlio o sui figli che più assomigliano loro.
Insomma, i genitori castigano i tratti caratteriali che non gli piacciono e che non vogliono ammettere di avere trasmesso ai figli.
Sempre secondo la psicologa, se il problema crea contrasti e malesseri eccessivi, i genitori dovrebbero porvi rimedio.
Per farlo, dovrebbero distinguere tra la voglia (sana) di indirizzare i loro figli verso ciò che è giusto e la necessità (morbosa) di pareggiare i conti coi propri scheletri nell’armadio.
Un difficile equilibrio, come quasi sempre nella vita.
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