Come gli altri rami delle scienze mediche, anche la psichiatria è stata soggetta a profondi cambiamenti ed evoluzioni che l’hanno condotta fino ai giorni nostri in una forma decisamente meno raccapricciante rispetto a quella del passato.
Modalità primitive per il trattamento dei disordini mentali venivano utilizzate già ai tempi dell’Antico Egitto e dell’Impero romano. Nonostante l’indubbia evoluzione rispetto al passato, anche in epoca vittoriana le persone colpite da queste patologie erano destinate a subire terapie disumane che oggi non oseremmo infliggere neanche ad animali.
Nel 1796 in Inghilterra venne aperto il Ritiro di York, istituto voluto fortemente dal filantropo William Tuke per correre in soccorso dei pazienti rinchiusi negli ospedali psichiatrici, i quali di “medico” avevano ben poco, mentre una certa somiglianza poteva rilevarsi con le carceri di massima sicurezza.
Circa venti anni più tardi, nel 1818, aprì – sempre in Inghilterra – il West Riding Pauper Lunatic Asylum, una struttura simile a quella precedente, pensata per “gestire” i pazienti con diversi tipi di malattie mentali non in grado di assicurarsi economicamente le “adeguate” cure.
Malgrado il lieve progresso, questi istituti non potevano che applicare i rudimenti della scienza psichiatrica dell’epoca – la cui soluzione principale sembrava essere quella dell’isolamento dalla società.
Il Ritiro e l’Asylum consistevano infatti in strutture collocate appositamente lontane dai centri abitati, costruite come recinti che confinavano i “pazzi” dal resto del mondo.
La disumanizzazione, anche in queste realtà “avanzate”, era all’ordine del giorno: i reclusi non avevano nomi, erano semplici malattie ambulanti da domare.
Grazie a queste immagini risalenti al 1869 scattate in una casa di cura possiamo comprendere meglio la superficialità del rapporto che intrattenevano medici e pazienti, questi ultimi registrati negli archivi non in base ai nomi ma alle loro malattie.