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L’inquinamento dell’aria arriva fino nel pancione. Ecco cosa ci dicono gli studiosi

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Adesso lo sappiamo per certo: le sostanze inquinanti presenti nell’ambiente possono arrivare fino al feto dentro al pancione della mamma.

Un tempo si riteneva che la placenta fosse in grado di proteggere il bambino contro qualunque contaminazione, ma da tempo c’era il sospetto che non fosse così. Per farmaci e alcool, poi, il sospetto era certezza ormai da molti anni.

Adesso una ricerca condotta da alcuni studiosi belgi (pubblicata su Nature) ha dimostrato che il particolato fine di carbone (Black carbon: un sottoprodotto della combustione dei motori a nafta, dei processi industriali, degli incendi…) presente nell’aria respirata dalla madre può arrivare al feto passando attraverso la placenta.

I ricercatori hanno esaminato campioni della placenta di 23 donne, dieci delle quali avevano partorito a termine e le altre prima delle trentasei settimane.

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Per accertare il probabile passaggio del particolato attraverso la placenta, i ricercatori hanno adoperato la luce laser, “illuminando” i tessuti da esaminare per vedere se risultavano fluorescenti a particolari lunghezze d’onda: i tessuti che si “accendevano” erano quelli contenenti particelle di carbone.

Il punto della ricerca è che gli scienziati belgi ne hanno trovate anche dalla parte della placenta rivolta al bambino, dimostrando così che questo organo fondamentale non è capace di difendere il feto contro qualunque aggressione dal mondo esterno.

Se lo studio ha dimostrato la permeabilità di questa presunta “barriera” tra mamma e bambino, non ha però dato chiarimenti su se e come quest’inquinamento da carbone possa danneggiare la salute del piccolo.

Da tempo si sa che l’inquinamento dell’aria può avere effetti negativi sulla gravidanza, provocando parti prematuri e basso peso alla nascita, ma c’è il sospetto che questi effetti possano andare oltre e manifestarsi anche in modi molto meno ovvi, per esempio a carico del sistema cardiovascolare. C’è anche chi ipotizza un legame con le malattie degenerative del sistema nervoso.

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Ma sui meccanismi d’azione è ancora buio fitto.


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